RESISTENZA !!!!!

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Oggi il M5S deve fare appello alla resistenza del popolo italiano. Resistenza non significa necessariamente violenza o qualcosa di simile. Significa, diversamente, la volontà dei cittadini di far sentire la loro voce, la loro protesta. Resistere non significa nient’altro che restituire la sovranità al popolo. Significa rispettare, cioè, quella Costituzione che questo disegno di legge vuole fare a pezzi. Soltanto un grande movimento di massa, pacifico, in difesa della Costituzione, potrà impedire che questo Paese venga distrutto. Al M5S spetta il compito di mettere i cittadini in contatto tra loro, di dare a ciascuno di noi la possibilità concreta di partecipare, di esserci. Noi ci siamo: dobbiamo manifestare, mobilitarci, essere presenti nelle città e nelle piazze per fermare tutto questo.

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Vorrei dire qualcosa a proposito del disegno di legge costituzionale n. 1359 sull’istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali ed elettorali, di cui si riprende l’esame in questi giorni. Ci sono tre aspetti su cui è necessario riflettere, e che devono essere considerati attentamente.

1° ASPETTO: IL PROCEDIMENTO

Anzitutto, il procedimento. Bisogna qui fare una premessa generale, ma che credo sia comunque utile. L’ art. 138 della Costituzione prevede, per la revisione costituzionale, una procedura del tutto particolare, incentrata sui poteri del Parlamento. La revisione, si legge all’articolo 138, è adottata da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi ed è approvata a «maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione».

Non è previsto il referendum confermativo se la revisione è approvata con la maggioranza dei due terzi. Se invece la modifica è approvata a maggioranza assoluta, si procede a referendum nel caso in cui lo richiedano o un quinto dei membri dell’una o dell’altra Camera o cinquecentomila elettori, o cinque Consigli regionali. La revisione sottoposta a referendum non è promulgata «se non viene approvata dalla maggioranza dei voti validi». Nel caso di referendum confermativo, a differenza di quello abrogativo, è sufficiente la maggioranza dei voti validi espressi, mentre non è necessario che alla votazione abbia partecipato la maggioranza degli aventi diritto.

Il meccanismo delineato è chiaro: il parlamento modifica la costituzione e il popolo (eventualmente) decide in ultima istanza su tali modifiche. Questo Parlamento, tuttavia, sta violando apertamente questa procedura, sia sotto il profilo formale che sotto quello sostanziale. Parlo anzitutto dell’aspetto formale:

  1. Il Governo ha nominato, in qualità di consulenti esterni, una commissione di 35 «saggi» a cui si sono aggiunti 7 esperti, che avranno il compito di redigere il testo elaborato dai primi. Ora: dove è previsto questo “passaggio” preliminare alla votazione in Assemblea? Da nessuna parte! C’è dell’altro, però…
  2. A questi 35+7 se ne aggiungeranno altri 40, perché dopo che i primi avranno scritto il testo della nuova Costituzione, un comitato di 20 deputati e 20 senatori scelti all’interno delle commissioni Affari costituzionali dovrà valutarlo. Il comitato trasmetterà, a sua volta, il testo definitivo alle Camere. Alle quali non resterà che approvare. O, ancor meglio, semplicemente ratificare un testo già perfezionato ed approvato. Un Parlamento che si limita a ratificare una legge costituzionale scritta, discussa e decisa da altri, siano essi dei “tecnici” o dei commissari, non è esattamente quel Parlamento di cui parla la Costituzione. Senza contare il fatto che in questo modo si azzerano i rapporti tra le maggioranze e le minoranze, modificando così invariabilmente gli equilibri tra le forze politiche del Paese. Quello che mi chiedo, di cui non riesco a capacitarmi, è come professori di diritto costituzionali nominati dal Governo (almeno quelli) non si siano vergognati di accettare un incarico che li chiama a far parte di un procedimento di revisione costituzionale non previsto in alcun modo dal nostro ordinamento.

Passo ora al profilo sostanziale. Vorrei discutere con voi questa domanda: l’art. 138, il procedimento di revisione disciplinato dalla Costituzione, ha senso con questo attuale sistema elettorale? Sembrano due questioni completamente diverse, ma non lo sono affatto. Con il sistema elettorale vigente all’epoca dell’introduzione della Costituzione, ossia un sistema rigidamente proporzionale, non era semplice mutare la Costituzione sulla base dell’art. 138. Conseguire la maggioranza assoluta (e tanto più quella dei due terzi) senza il concorso della minoranza era piuttosto difficile, considerato che il sistema proporzionale fa emergere un Parlamento relativamente frammentato. L’art. 138 era stato pertanto formulato con questo presupposto di fondo: che modificare la Costituzione non era un diritto della maggioranza, ma richiedeva un accordo con le minoranze parlamentari. Con un sistema elettorale come quello attuale, peraltro sospetto di incostituzionalità, le cose cambiano. C’è, oggi, un premio di maggioranza che fa sì che la Costituzione sia nelle mani della maggioranza di Governo e Pdl e Pd-L possano, se trovano tra loro un accordo, cambiare quello che vogliono. Basta che entrambi raggiungano la metà più uno dei voti.

Questa questione venne discussa, in realtà, già nei primi anni Novanta, con la fine del sistema proporzionale e l’introduzione del maggioritario. Allora si discusse, per un certo periodo, la necessità di modificare l’art. 138 Cost. (con un innalzamento delle maggioranze previste, ad esempio) per evitare il rischio che il sistema elettorale maggioritario consegnasse la revisione della Costituzione alla maggioranza parlamentare. Di tutto ciò si è ormai persa la traccia perché per la prima volta nella storia Pdl e Pd-L sono alleati, ed insieme non solo controllano il funzionamento del Parlamento ma hanno la possibilità di modificare a loro piacimento la Costituzione. Non è un caso, del resto, che dei 35+7 nessuno può essere in qualche modo riconducibile all’opposizione presente in Parlamento. Non esistono “saggi” che non facciano parte della maggioranza Pdl – Pd-l.

Dunque, riassumendo, direi:

  • che il presente procedimento di revisione costituzionale è del tutto atipico, non previsto dall’ordinamento e talmente complicato da impedire al Parlamento ogni decisione reale su un testo che gli verrà presentato già discusso ed approvato dai “saggi” e dai commissari Pdl – Pd-l;
  • che, con questa legge elettorale, ogni revisione o modifica della Costituzione verrà facilmente controllata dalla maggioranza parlamentare, senza alcun rispetto dei diritti delle minoranze.

2° ASPETTO: LA LEGGE ELETTORALE

Il secondo aspetto è direttamente connesso con il primo. Nell’art. 2 del disegno di legge (Competenze e lavori del Comitato) viene detto che il Comitato esaminerà i progetti di «legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali». La domanda è la seguente: perché nella revisione costituzionale si discuterà della legge elettorale, che è però una legge ordinaria? Esiste a onor del vero una spiegazione immediata: la legge elettorale dovrà rispecchiare le modifiche costituzionali eventualmente approvate: se per esempio andassimo verso una repubblica presidenziale, dovremmo avere una legge elettorale coerente. Abbiamo comunque, pur sempre, una procedura di revisione costituzionale che al suo interno prevede la modifica di una legge ordinaria come quella elettorale. Credo che l’effetto collaterale sia chiaro a tutti: spostando in modo artificioso la questione della legge elettorale all’interno della «revisione» della Costituzione, si blocca ogni iniziativa di riforma elettorale immediata. In altre parole: i partiti, al momento delle redazione del disegno di legge, non intendevano affatto cambiare subito il Porcellum, perché non ne avevano alcun interesse. Anzi per evitare che il M5S potesse sostenere l’opposizione ad esso in Parlamento, presentando proposte alternative, si è deciso, con un colpo di mano, di obbligare a rinviare ogni discussione sulla legge elettorale al Comitato di revisione della Costituzione. L’episodio della mozione Giacchetti va spiegata in questo contesto. I partiti hanno “bloccato” ogni possibilità di modificare la legge elettorale, che è una legge di livello ordinario, attribuendo un’esclusiva competenza su di essa ad un Comitato incaricato, in realtà, di elaborare progetti di livello costituzionale. Così la questione è risolta: quando si dirà ai partiti che non vogliono cambiare la legge elettorale, loro potranno sempre rispondere che non è colpa loro, perché la materia, ormai, è oggetto di revisione costituzionale, con i tempi dettati dalla Costituzione stessa.

Ora, però, sembrerebbe che con i venti di elezioni anticipate i partiti intendano tornare parlare di legge elettorale. Ed ecco la bella pensata: approvare una piccola legge-ponte. Insomma, non una legge elettorale definitiva ma una provvisoria, destinata nel giro di pochi mesi ad essere rifatta per adeguarla alla nuova Costituzione. Come dire: i partiti non sono stati capaci di fare una legge elettorale in otto anni e adesso ne vogliono fare due in quindici mesi.

3° ASPETTO: IL COLPO DI STATO DEFINITIVO

Sarebbe quasi comico parlarne, se non fosse tragicamente reale. Vorrei che si prestasse ancora attenzione all’articolo 2 del disegno di legge, nella parte in cui si legge che la «revisione costituzione» sarà relativa agli articoli ai titoli della parte seconda della Costituzione «afferenti alle materie della forma di Stato, della forma di Governo e del bicameralismo». Si modificherà la Costituzione, in altri termini, sia nelle disposizioni riguardanti la forma di Governo sia in quelle concernenti la forma di Stato. L’articolo 139 della Costituzione dice, però, chiaramente: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». Ora, mi domando: si tratta di un errore materiale, di una svista? O il Governo Letta ha realmente intenzione di modificare la forma di Stato, oltre che quella di Governo? Non saremo più una Repubblica, ma una Monarchia? O forse si intende il passaggio ad una Repubblica federale, e non più «una e indivisibile», come vuole l’art. 5 della Costituzione, anch’esso ritenuto però immodificabile dalla Corte Costituzionale?

Quali che siano le intenzioni del Governo Letta, il mutamento della forma di Stato non costituisce una forma di «revisione» costituzionale, ma l’instaurazione di un nuovo ordine costituzionale nascosto dietro una formale modifica della Costituzione precedente. È il potere costituito che, in modo illegittimo, diviene potere costituente.

http://www.byoblu.com/post/2013/09/06/lultima-disperata-resistenza.aspx